Tra le stradine strette e lastricate del borgo antico, per le viuzze sparse come anfratti pittoreschi che si affacciano sul mare azzurro di levante, un odore amabile di frittura si insinua nelle serate baresi e ti porta lì, dove donne generose e fiere mantengono viva una tradizione antica, ben radicata nella memoria dei baresi più anziani.
Seguendo quel grato odore di frittura si giunge davanti a grandi padelloni fumanti dove si friggono sgagliozze e pòpizze. L’ingresso delle sgagliozze nella gastronomia popolare barese si perde nella storia di questa città, strettamente legato alla generosa disponibilità di olio di oliva e di semola. Così, dalla polenta di semola che pure non è tipica della tradizione barese, resa rafferma, tagliata a fettine e immersa in olio bollente, si ottengono auguste fritture da mangiare rigorosamente calde.
Quella delle sgagliozze è abitudine antica. Gli anziani ricordano quando nei primi anni del novecento, un certo signore chiamato per scherno “zu fiete de le sgagliozze” vendeva la sua merce all’angolo della Prefettura. Oggi i suoi eredi ideali continuano la tradizione friggendo anche le pòpizze, gustose frittelle sferiche, morbide dentro e croccanti fuori. Tra paesi dell’hinterland le pòpizze sono più note con il nome di pettole, cibo povero e prelibato realizzato con un impasto di farina piuttosto lento, sapientemente immerso a cucchiaiate in padelle colme di olio bollente.
Tra i vicoli del borgo antico illuminati dalle luci della sera, tra le pareti imbiancate di calce e le viuzze alla penombra della sera è caratteristico il passeggio con il cartoccio fumante di sgagliozze e pòpizze in mano. Ma da quel borgo antico cuore e anima di questa laboriosa città si insinuano altri odori, di sapori tipici, sapientemente tramandati e diventati fiori all’occhiello dei menù più prestigiosi. Il profumo del ragù di carne, una chicca gastronomica che rimanda a festose domeniche mattina, quando le campane della basilica e delle chiesette richiamano i fedeli alla messa.
Proprio nel dì di festa le massaie si levavano alla buon’ora per cucinare il gustoso condimento di maccheroni ed orecchiette caserecce, preparato con conserva di pomodoro e pezzi di agnello, vitello, maiale e manzo. Olio, cipolla e peperoncino per il primo soffritto, vino rosso e chiodi di garofano per insaporire il tutto, lasciato a cuocere per ore ed ore fino ad ottenere un sugo denso e cremoso ed una carne tenera come burro. Ma in un borgo di pescatori, gli odori ed il sapore del mare si intrecciano e si confondono in un menù della città ancor più tipico delle usanze e del costume dei suoi abitanti.
A cominciare dalla variante marinara del ragù, il ciambotto, un intingolo di pesce minuto di varie qualità cucinato nelle stesse modalità di quello di carne; le cozze “arraganate”, cozze private della valva superiore, cotte al forno in un tegame di coccio con mollica di pane e vino bianco; il “crudo” di mare, una prerogativa tutta barese, cozze nere e mitili di vario genere aperti a lama di coltello e mangiati con una spruzzatina di limone; le seppioline e i polipi, “battuti” sugli scogli per intenerirli e “arricciati” in cestini di vimini con una tecnica tutta barese. Un discorso a parte bisogna riservarlo al pesce. Le orate, preparate al forno con patate e pecorino. Arrostite in graticola o al cartoccio con il limone. Il dentice, cotto al forno in una miscela di olio e di aceto, arricchito a metà cottura con un pugno di olive nere. Gli sgombri, appena bolliti, profumati di aceto e conditi con olio, menta e aglio tritato.
Ma dal borgo antico, alla Bari murattiana, ai quartieri più moderni della città un coro unanime di consensi indica nella tiella di “patate, riso e cozze” il simbolo e l’emblema di questa cucina così generosa di sapori, odori e colori. Si tratta di un piatto noto a tutto il mondo gastronomico che si distingue per la semplicità degli ingredienti quanto per la ricercata qualità degli stessi. Sono le donne del borgo ad insegnare che nella scelta degli ingredienti bisogna assicurarsi che le cozze siano quelle giuste, con un frutto grande e bianco, le patate di pasta gialla, il riso adatto alla cottura e le cipolle dolci e delicate. Tale assortimento viene messo in forno, magari a legna, e lasciato a cuocere lentamente. All’occorrenza, qualche fettina di zucchina sparsa quà e là nella teglia può servire a mantenere l’umidità necessaria all’ideale mantenimento della cottura.
Alla fine di questo viaggio, oltre agli odori e ai sapori restano i colori e le immagini, uniche ed irripetibili di questa città. Il mare azzurro che guarda ad est, le donne del borgo antico che lavano il pezzo di strada davanti alla loro casa, le urla confuse al mercato del pesce, le barche ormeggiate e le reti lasciate ad asciugare. Per esaltare tutto questo può bastare sorseggiare un bicchiere di vino, di quel rosso granato che tinge il bicchiere, prodotto di vitigno aleatico, primitivo e negramaro.